Verso una nuova generazione di bioplastiche

Grazie alla ricerca scientifica le bioplastiche, cioè le plastiche derivanti da materie prime rinnovabili e/o biodegradabili, stanno per arrivare alla terza generazione. E come ha affermato Anne Roulin, Global Head of Packaging and Design di Nestlé, stanno trovando concreta applicazione nella realizzazione degli imballaggi alimentari...

Nuovi materiali plastici sono studiati ed usati per la realizzazione degli imballaggi alimentari

MILANO - Il futuro nel campo degli imballaggi alimentari è nelle bioplastiche di terza generazione, plastiche composte da materie prime naturali di tipo non alimentare, come le alghe e la cellulosa. Il nuovo genere di plastiche ecosostenibili, come ha sostenuto la responsabile Mondiale del Packaging e Design di Nestlé Anne Roulin in un’intervista al FoodProductionDaily.com, sarà disponibile a partire dal 2015.

GENERAZIONI DI BIOPLATICHE - Nel corso degli anni i progressi scientifici hanno prodotto due generazioni di bioplastiche. Il primo materiale bioplastico, il PLA (Acido Polilattico) fu ricavato per la prima volta negli anni ‘50 dall’amido di mais, una risorsa biodegradabile, che non produce inquinanti durante il processo di combustione ma che, secondo la Roulin, avrebbe mostrato di non avere tutte le caratteristiche di applicazione al packaging necessarie.

PLASTICA “AGRICOLA” - In pochi anni, le tecnologie hanno imparato a sfruttare vari prodotti agricoli come patate, barbabietole e canna da zucchero, i cui amidi hanno dato vita a materiali dalle caratteristiche, in tutto e per tutto, simili alla plastica derivata dal petrolio, riutilizzabili più volte e ideali per la conservazione. Si stima che il consumo di bioplastiche di questo tipo stia crescendo ad un tasso del 24,9% all’anno e i consumi raggiungeranno le 884.000 tonnellate annue tra dieci anni.

OBIETTIVI FUTUR I - Il futuro prossimo nel campo degli imballaggi alimentari non avrà più a che fare con i prodotti della buona cucina; l’obiettivo, infatti, è quello di ridurre i costi di produzione, tagliare ancora le emissioni di Co2 e non interferire con il mercato dei prodotti alimentari, preziosi soprattutto nei paesi in via di sviluppo.