Nicola Armaroli, il ricercatore del CNR che studia la transizione energetica

Nicola Armaroli, il ricercatore del CNR che studia la transizione energetica

Una delle Linkedin top Voices ambiente del 2023 racconta il suo percorso professionale e la sua passione per la transizione energetica.

MILANO – Nicola Armaroli, dopo aver conseguito la laurea in chimica e il dottorato negli USA,  è un ricercatore del CNR da oltre 25 anni. Lo abbiamo intervistato per scoprire più da vicino il suo lavoro e la sua passione, ovvero la transizione energetica.

 

Buongiorno Nicola, qual è stato il suo percorso professionale?

Lavoro sulla conversione dell’energia solare, da sempre. In particolare faccio ricerca sui processi che permettono la conversione di luce in energia chimica o elettrica, studiando quanto accade a molecole opportunamente progettate, una volta che assorbono l’energia luminosa. Analizziamo ad esempio i primissimi istanti del processo, tempi che vanno dai milionesimi di miliardesimi di secondo fino a pochi secondi. Sviscerando i meccanismi di quello che accade nei primi istanti, è possibile ad esempio “imitare” la fotosintesi clorofilliana, mettendo a punto sistemi artificiali più efficienti (le piante convertono luce in energia chimica con un’efficienza media bassissima, inferiore all’1%!) ma molto, molto più semplici. Sarebbe infatti impensabile, e inutilmente complicato, replicare la natura per convertire la luce del sole in energia utilizzabile.

Parallelamente, ho sviluppato un interesse verso le tecnologie energetiche a più ampio raggio, un tema che investe sempre più la società e il sistema industriale. Ho approfondito questo tema per 25 anni, scrivendo diversi libri sull’argomento. Il mio modo di illustrare questo groviglio di problemi ha raccolto un crescente interesse anche nel mondo dell’informazione. In maniera inattesa ho ricevuto il riconoscimento di Linkedin top voice, piattaforma sulla quale sono presente dal 2021. Sono ospite fisso a Geo, storica trasmissione di RAI 3 e dirigo Sapere, rivista di divulgazione della scienza fondata nel 1935. Se qualcuno riconosce che sei portatore di contenuti scientifici validi, è una piccola soddisfazione nel complesso e insidioso mondo della comunicazione di oggi.

 

Uno dei temi principali di cui si occupa è la transizione ecologica. A che punto siamo?

Io mi occupo principalmente di transizione energetica, che è un aspetto chiave della più ampia transizione ecologica. La necessità della transizione energetica è dettata dal cambiamento climatico. Questo a sua volta è dovuto all’accumulo in atmosfera di enormi quantità di CO2 – causato dall’uso massiccio di petrolio, carbone e gas – che la fotosintesi naturale non è in grado di smaltire. Noi oggi diamo per scontato il clima mite di cui abbiamo goduto negli ultimi millenni, che è stato il presupposto base dello sviluppo della civiltà umana.

Tuttavia, a partire dallo sviluppo dell’agricoltura e, in seguito, con la rivoluzione industriale alimentata dall’utilizzo massiccio dei combustibili fossili, abbiamo avviato un gigantesco processo di riscaldamento della biosfera. Ora ne paghiamo il conto. La transizione energetica va a incidere anche sui nostri stili di vita, che non vuol dire vivere peggio ma cambiare parte delle nostre abitudini.

 

Lei si occupa molto di mobilità sostenibile. Avrebbe voglia di commentare la situazione italiana del mercato delle auto elettriche?

I motori elettrici sono 4 volte più efficienti di quelli termici, è una questione termodinamica. Naturalmente la mobilità elettrica è ancora più sostenibile quando l’energia è prodotta attraverso fonti di energia rinnovabile. Ma noi stiamo già andando verso una produzione elettrica sempre più rinnovabile. Naturalmente l’impatto zero non esiste. Ad esempio la produzione delle batterie ha un impatto sull’ambiente ma, per fortuna, in diminuzione. In questo contesto l’utilizzo del cobalto va progressivamente calando.

Il processo di elettrificazione dei trasporti richiede investimenti in infrastrutture: occorre consolidare la rete di ricarica, soprattutto nell’ambito delle periferie urbane, dove spesso le persone non hanno un garage. C’è però da dire che oltre la metà degli italiani ha un posto auto, quindi per loro le stazioni di ricarica non sono necessariamente un’ossessione. Bisogna poi sottolineare che la ricarica deve essere calibrata anche in base ai luoghi: a bassa potenza nel garage di casa, a potenza media sulle strade urbane e a potenza elevata in autostrada. Le infrastrutture di ricarica sono in crescita, oggi in Italia sono più che sufficienti dato il basso numero di veicoli elettrici in strada. Per quanto riguarda il tema dei costi, già oggi l’auto elettrica, soprattutto per chi ha un garage, ha un costo complessivo di possesso e gestione (“pieno” e manutenzione) inferiore a quella termica. L’ultima barriera da superare è quella mentale. In Italia siamo dietro alla Romania, alla Lituania, alla Grecia come vendita di auto elettriche. Il nostro riferimento dovrebbero essere la Francia e la Germania, che sono quasi al 20% di auto elettriche vendute sul totale del 2023, noi purtroppo siamo a meno del 4%.

  

Abbiamo visto un suo recente post su LinkedIn riguardante la classificazione energetica delle case. Avrebbe voglia di spiegarci in poche parole di cosa si tratta?

La classe energetica è legata al consumo energetico complessivo di un’abitazione. Questo consumo è dovuto essenzialmente a due voci: il consumo di gas per il riscaldamento e il consumo elettrico. Viene tutto espresso in kWh per metro quadro e questo valore definisce appunto a quale classe energetica appartiene l’abitazione, dalla G (la peggiore) fino alla A4. La classe energetica dipende da vari fattori, a cominciare dalla capacità dei muri e degli infissi di ridurre al minimo le perdite termiche dell’immobile. E proprio questo è uno dei primi passi nella transizione ecologica: abbattere lo spreco di energia.

Il passaggio da una classe G a una classe D è relativamente facile e comporta un costo economico ridotto. Sugli interventi di efficientamento dobbiamo soprattutto cambiare mentalità, smettendo di considerarle spese. Sono infatti investimenti: per le nostre tasche (riduciamo la bolletta energetica), per l’ambiente in cui viviamo e soprattutto per le nuove generazioni a cui dobbiamo consegnare un pianeta vivibile, come a suo tempo abbiamo ricevuto noi in eredità.

Di Stefano Morretta

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