MILANO - Daniel Fontana, triatleta olimpico e primo italiano a vincere una gara del circuito Ironman, ripercorre nell’intervista i momenti chiave della sua carriera sportiva e la transizione verso una nuova vita da imprenditore nel mondo della comunicazione sportiva. Dall’oro storico a Los Cabos alla commovente vittoria post-infortunio a Taiwan, Fontana racconta il ruolo della pazienza, della resilienza e della consapevolezza nella sua visione dello sport e della vita. L’intervista esplora anche il suo impegno sociale come testimonial della Fondazione TOG alla Milano Marathon, il valore del mental coaching e il potere inclusivo dello sport come leva educativa e motivazionale, anche nel contesto aziendale.
Ciao Daniel, ci racconti chi sei? Dalla tua carriera da atleta olimpico e vincitore Ironman fino ai traguardi più recenti: quali sono i momenti che ti hanno dato più soddisfazione e che ancora oggi ti definiscono?
Sono nato a General Roca, il 31 dicembre 1975, ma dal 2005 ho gareggiato per l’Italia del triathlon. Vivo ad Appiano Gentile e dopo due olimpiadi, Atene nel 2004 e Pechino nel 2008 e una carriera lunga da triatleta professionista, sono oggi co-founder, insieme a mia moglie, di un’agenzia di comunicazione e organizzazione eventi che lavora al servizio dello sport.
Le medaglie e le vittorie nel circuito Ironman sono diverse, ma quella che ha scritto la mia storia e quella del movimento del triathlon azzurro sulle lunghe distanze, è certamente l’oro di Ironman Los Cabos; questa gara mi ha reso il primo uomo Italiano [EC1] a vincere una prova del circuito internazionale.
Se questa è la vittoria più importante per la storia del movimento e quella ad Ironman Taiwan nel 2016 è la conferma del mio valore internazionale, in realtà l’oro a cui sono più affezionato è probabilmente quello del 2018 sempre da Ironman Taiwan. Avevo 43 anni ed ero rientrato alle gare dopo un lungo periodo di stop per un intervento chirurgico al Tendine d’Achille. È stata una grande vittoria per me essere un atleta così longevo ai vertici.
Nel corso della tua carriera, hai dimostrato una straordinaria capacità di adattamento e resilienza. Quali valori ti hanno guidato in questo percorso e come li trasmetti nei tuoi progetti attuali?
So essere paziente e sopportare a lungo la fatica. Non so se questa sia una skill che mi è stata insegnata dallo sport o se, al contrario, si tratti di una qualità intrinseca che mi ha permesso, poi, di vincere così tanto e tanto a lungo. Lo sport è una grande scuola di vita e al contempo uno spotlight che rivela irrimediabilmente il carattere. Oggi in azienda sono, nel mio essere imprenditore, l’atleta che sono stato nella mia carriera sportiva. So aspettare i momenti migliori per attaccare, so essere resiliente e tollerare alti livelli di stress, sono consapevole del mio valore e per questo non mi scompongo se i processi lavorativi comportano anche momenti di mansioni più pratiche e meno patinate.
Hai recentemente partecipato alla Milano Marathon come testimonial della Fondazione TOG, promuovendo il progetto "Together to Run". Come nasce il tuo impegno in iniziative solidali e qual è l'importanza dello sport come strumento di inclusione sociale?
Lo sport tocca fortemente le corde emotive delle persone e per questo è un grandissimo acceleratore di processi emotivi. Io credo che la responsabilità dello sport si spenda su tanti piani. Sicuramente c’è un forte tema di etica e rispetto dell’altro e indubbiamente parliamo di un fortissimo catalizzatore di empatie. Utilizzare lo sport per promuovere iniziative socialmente rilevanti, significa dare a queste un boost che difficilmente, in ambiti meno “emotivi” riceverebbero. Io credo, poi, che la visibilitá che un atleta acquisisce nel corso della sua carriera, debba essere eticamente impiegata al servizio di messaggi socialmente rilevanti. Per me, che sono anche padre, supportare TOG è stato un onore, più che un impegno. Sono fiero di prestare la mia voce e il mio viso per un progetto che sostiene dei cuccioli e delle famiglie che hanno bisogno di essere guardati e accolti con competenza e amore.
Oltre alla preparazione fisica, dai grande importanza all'aspetto mentale nell'allenamento degli atleti. Come affronti il lavoro di mental coaching e quali strumenti utilizzi per aiutare gli sportivi a gestire lo stress e a migliorare la concentrazione durante le competizioni?
Negli ultimi anni il mental coaching è entrato nei protocolli di allenamento dei grandi campioni di ogni sport; ma la verità è che chiunque affronti un progetto ambizioso, sia esso sportivo o professionale, può ricevere un grande aiuto da un percorso di sviluppo personale guidato da un professionista. I fronti su cui si lavora sono molti e spaziano dal migliorare le proprie performance, al potenziare la motivazione, gestire lo stress e raggiungere obiettivi specifici. Si lavora sugli aspetti mentali ed emotivi del comportamento. Io personalmente non faccio questo di mestiere, ma mi trovo spesso ad affrontare questi temi in occasioni prestigiose di formazione dei meeting aziendali di grandi realtà internazionali. Fare parallelismi tra la carriera sportiva professionistica e quella aziendale è più calzante e significativo di quanto si possa pensare.
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Di Martina Invernizzi
[EC1]Forse meglio uomo italiano