Fast PETase, l’enzima che mangia la plastica e combatte l’inquinamento

Fast PETase, l’enzima che mangia la plastica e combatte l’inquinamento

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas hanno scoperto un enzima in grado di “mangiare” la plastica in circa 48 ore

MILANO - L’inquinamento dovuto alla plastica è una delle problematiche ambientali più stringenti: ciò è dovuto principalmente a l’incuria con cui vengono smaltiti i prodotti realizzati con questo materiale. Interessante in questo senso la scoperta del Fast PETase realizzata da un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature.

Cos’è il Fast PETase

Il Fast PETase (“Functional, Active, Stable and Tolerant PETase”) è un enzima in grado di attivare, attraverso l’idrolisi, la scomposizione del polimero tereftalato (PET) in monomeri, ossia acido ftalico e glicole etilenico, andando di fatto a “mangiare” la plastica. Per velocizzare il processo di decomposizione, il team ha messo a punto un sistema di machine learning in grado di suggerire le modifiche migliori in base al materiale da decomporre. Nella fattispecie l’intelligenza artificiale favorisce una scomposizione della plastica in condizioni atmosferiche normali e in tempi brevissimi: “in alcuni casi, queste plastiche possono essere completamente scomposte in monomeri in appena 24 ore [...] Fino ad oggi, nessuno era riuscito a capire come produrre enzimi che potessero operare in modo efficiente a basse temperature per renderli portatili e accessibili su larga scala industriale. La FAST-PETasi può eseguire il processo a meno di 50 gradi Celsius spiegano i ricercatori. Si tratta chiaramente di una sperimentazione in corso, ma che ha dato ottimi risultati negli esperimenti condotti su 51 diversi contenitori di plastica post-consumo, cinque diverse fibre e tessuti di poliestere e bottiglie d'acqua in PET.

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Gli impieghi dell’enzima mangia plastica

"Le possibilità di sfruttare questo processo di riciclo all'avanguardia sono infinite in tutti i settori. Al di là dell'ovvio settore della gestione dei rifiuti, questo offre anche alle aziende di ogni settore l'opportunità di assumere un ruolo guida nel riciclaggio dei loro prodotti. Grazie a questi approcci più sostenibili, possiamo iniziare a immaginare una vera economia circolare della plastica", ha spiegato Hal Alper, professore del Dipartimento McKetta di Ingegneria Chimica della UT Austin. In effetti si tratta di processi che hanno un impatto ambientale pressochè inesistente e costi davvero bassi, se paragonati ai classici processi di smaltimento della plastica. Inoltre il team sta studiando anche delle metodologie per bonificare i siti inquinati. Per il momento è stata depositata la domanda di brevetto.

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Di Ludovica Pallotta

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