Rapporto dell’ONU sul clima: abbiamo ancora tempo ma dobbiamo affrettarci

Rapporto dell’ONU sul clima: abbiamo ancora tempo ma dobbiamo affrettarci

Il documento sarà l’agenda da seguire per i governi che voglioni mitigare gli effetti del riscaldamento globale

MILANO - Siamo ancora in tempo per evitare esiti catastrofici ma bisogna agire in fretta. L’ultimo rapporto ONU sul clima fornisce direttive chiare per l’azione dei governi. I primi ha doversi assumere le proprie responsabilità sono i Paesi più ricchi ma anche i Paesi emergenti devono fare la loro parte.

Il nuovo Rapporto ONU sul clima 

Antonio Guterres, il Segretario Generale dell’Onu, lo ha definito “una guida per disinnescare la bomba a orologeria del clima”. Lunedì 27 marzo è uscito il rapporto di sintesi dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, il più autorevole organismo scientifico internazionale per la valutazione di cambiamenti climatici.  Fornisce un bignami delle analisi già diffuse e riassume pagine e pagine di ricerche in un formato più fruibile. Il documento sarà l’agenda da seguire per i governi che nei prossimi anni saranno impegnati a concordare e adottare nuove politiche per mitigare gli effetti del riscaldamento climatico. Il documento dà un monito a tutti i Paesi, sottolineando che “La finestra di opportunità per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti si sta rapidamente chiudendo”, siamo ancora in tempo ma bisogna agire in fretta e con misure drastiche.

Gli effetti del riscaldamento globale 

Il rapporto di sintesi è il documento finale del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC, pubblicato tra iI 2021 e il 2022. Le prime tre sezioni del documento sono dedicate alle basi fisico-scientifiche del riscaldamento globale, l’impatto e le difficoltà nell’affrontarlo e da ultimo, le soluzioni per mitigare le conseguenze del cambiamento climatico. Il rapporto di sintesi, invece, prende spunto da altri documenti che erano già stati pubblicati negli ultimi quattro anni e si dedica soprattutto agli effetti del riscaldamento globale sui terreni, gli oceani e le masse di ghiaccio.

Il nuovo rapporto chiarisce, in termini più accessibili, ai decisori politici, gli studi degli ultimi anni sulle cause e le conseguenze dell’aumento della temperatura media globale. Inoltre, ribadisce l’obiettivo primario, comune a tutti gli Stati, di evitare che entro la prima metà degli anni Trenta si verifichi un aumento medio di 1,5°C rispetto al periodo precedente all’epoca industriale. 

La lotta al riscaldamento globale 

Da diverso tempo, una quota crescente di esperti internazionali ha chiarito come il limite fissato a 1,5°C fosse irrealistico, in molti pensavano che fosse arrivato il momento di rassegnarsi al fallimento. La COP26 del 2021 si era conclusa con una dichiarazione che indicava metaforicamente come il limite di 1,5°C fosse “vivo, ma con un battito molto debole”. Nella COP27 I toni sono diventati ulteriormente pessimistici. In questa occasione, lo stesso Guterres aveva dichiarato che l’umanità si trovava “su un’autostrada verso un inferno climatico con un piede sull’acceleratore”. La decisione di non superare l’1,5°C di riscaldamento globale è stata raggiunta solo dopo diversi anni di negoziazione tra gli Stati, in occasione della COP21 del 2015, che si svolse a Parigi.

Nel 2018 un rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) dell’ONU mise a confronto il limite di 1,5°C con quello di 2°C, per mostrare quali sarebbero state le differenze a seconda della temperatura. Le analisi degli studi raccolti nel rapporto dimostrarono come mezzo grado fosse sufficiente a far aumentare sensibilmente il rischio di eventi disastrosi, come inondazioni e prolungati periodi di siccità a livello regionale, con la devastazione di numerosi ecosistemi. Tale aumento comporterebbe un grande riduzione dei ghiacci polari e quindi l’innalzamento del livello dei mari che renderebbe inabitabili ampie zone costiere e l’inaridimento di molte aree coltivate. Le zone costiere sono le più abitate del pianeta, molte di queste persone sarebbero costrette ad emigrare creando flussi ingenti di persone in cammino verso altri Paesi. Quest’ultimo rapporto di sintesi dà nuova speranza ma il tempo stringe.

Chi deve agire per primo tra gli Stati? 

I Paesi più ricchi, secondo Guterres, hanno la responsabilità di agire per primi rispetto ai più poveri. Questi ultimi sono quelli che subiscono maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici proprio a causa delle attività dei Paesi sviluppati nei decenni passati. Ai due Paesi emergenti Cina e India è stato chiesto di raggiungere la neutralità carbonica, ovvero un bilancio pari a zero di anidride carbonica immessa in atmosfera, rispettivamente entro il 2060 e il 2070.

Di Carola Bernardo

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