La gestione dell’acqua piovana in Italia – In a Bottle

La gestione dell’acqua piovana in Italia

Francesco Vincenzi, presidente di Anbi: “Nel nostro Paese cadono 300 miliardi di metri cubi di pioggia l’anno, di cui però ne riusciamo a trattenere solo 45”

MILANO - “In Italia la disponibilità di acqua è ferma agli anni ’70”. La denuncia è arrivata nel corso dell’assemblea della Anbi, l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue. In Italia, nel 2019, la disponibilità d’acqua è stata indispensabile per generare il 17,3% del Prodotto interno lordo, cioè 288 miliardi di euro. Secondo Francesco Vincenzi, presidente di Anbi, occorrerebbe gestire meglio l’acqua piovana per migliorarne l’utilizzo nei diversi ambiti in cui viene impiegata. “L’Italia è ricca d’acqua – ha affermato - perché annualmente cadono circa 300 miliardi di metri cubi di pioggia, di cui però ne riusciamo a trattenere al suolo solo 45”.

Sopperire alle esigenze idriche

Quasi 50 anni fa, nel 1971, la Conferenza nazionale sulle acque indicò in almeno 17 miliardi di metri cubi la capacità d’invaso necessaria a rispondere alle esigenze di crescita del Paese nel 1980. “Quarant’anni dopo – aggiunge Vincenti - la potenzialità di raccolta delle 534 dighe italiane è ferma a 11,9 miliardi”. Da qui la richiesta: “Risulta evidente l’importanza, soprattutto nella prospettiva di un rilancio dell’Italia collegato al New Green Deal, di aumentare sensibilmente la capacità d’invaso per sopperire alle accresciute esigenze idriche”.

L’uso di acqua in agricoltura

Secondo Anbi, il settore che utilizza maggiori risorse idriche è l’agricoltura, con circa 20 miliardi di metri cubi all’anno, soprattutto nel Nord Italia, per irrigare complessivamente 3.300.000 ettari. Le richieste di acqua, è stato comunque sottolineato, stanno aumentando a causa del cambiamento climatico che ha portato al ripetersi di stagioni siccitose accompagnate da alte temperature. Infine, va considerato che una costante disponibilità d’acqua ridurrebbe lo spopolamento delle aree collinari e montane.

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Di Rossella Digiacomo

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